A STUDY OF INTROSPECTION
La rielaborazione della memoria è solo uno dei moventi che spingono l’artista ad iniziare un lungo processo, potenzialmente infinito, che prende il titolo di ”Oikeiôsis”: un’antica parola greca, usata per indicare la realizzazione di sé attraverso la conoscenza dell’lo interiore. Le immagini analogiche, prodotte dall’infanzia dell’artista sino ad oggi subiscono una continua alterazione che sembra essere regolata da uno stato di coscienza a volte fragile e malinconico, a volte romantico, a volte tagliente, quasi violento, mai afferrabile. Passando attraverso la folla di un rave, in cui a stento si riconoscono i profili umani, lo spettatore si ritrova come all’interno di un grande apparato cardiaco, che pulsa attraverso le immagini ed i suoni di un diario.
Nel nostro tempo, dominato da quella che il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han chiama estetica della levigatezza, gli oggetti della comunicazione digitale, le immagini e i contenuti trasmessi restano al livello di una percezione del presente ripiegato su se stesso.
Il risultato non può che essere un stato di anestetizzazione.
Se l’esperienza del bello si trasforma, quindi, in un impersonale ammasso di eccitanti eventi da consumare velocemente nel quotidiano, come possiamo provare un senso di stupore?
Se la bellezza non rimanda più ad un’esperienza di verità, ma al semplice piacere, che diviene prodotto di consumo, lo stupore lascia piuttosto spazio ad un sentimento autoerotico, dove il soggetto compiaciuto di se stesso, non viene più incantato dall’altro e dalla diversità delle forme umane e naturali esistenti nel mondo.
Una condivisione falsamente libera, ma realmente produttrice di grandi masse di dati, utili a rivelare informazioni sugli aspetti più personali della nostra esistenza.
In risposta a questa interiorità digitale prende il via un lungo processo di rielaborazione della memoria, potenzialmente infinito, dal titolo ”Oikeiôsis”: un’antica parola greca, usata per indicare la realizzazione di sé attraverso la conoscenza dell’lo interiore e il fine ultimo degli esseri viventi.
Le immagini analogiche, prodotte dall’infanzia dell’artista sino ad oggi non seguono dei dettami esterni, subiscono piuttosto, una continua alterazione che sembra essere regolata da uno stato di coscienza individuale, a volte fragile e malinconico, a volte romantico, a volte tagliente, quasi violento, mai afferrabile, come la memoria stessa.
La sfera intima si concede così al collettivo, nella costruzione di scenari immersivi che accolgono lo spettatore in un grande archivio mnemonico condiviso, risvegliando un senso di empatia nel vissuto.
Ricordandoci che lo stupore è un evento relazionale.
Matilde Scaramellini